Fino agli anni 80 quella disciplina sportiva motoristica che oggi va sotto il nome esotico di enduro era conosciuta in Italia come “regolarità”.
Uno sport che vedeva coinvolto il binomio uomo-motocicletta
come forse in nessun’altra specialità motoristica.
Parente stretta del motocross la regolarità differiva da
quest’ultimo nel modo in cui si svolgevano le competizioni che avevano quale
teatro ampi spazi aperti anziché essere confinate in circuiti e il vincitore
non era chi tagliava per primo il traguardo dopo un certo numero di giri, bensì
chi riusciva ad avere la miglior somma di punti o minor totale di penalità al
termine di diverse prove letteralmente massacranti.
La regolarità era considerata il “tutto compreso”, la prova
del fuoco che forgiava veri piloti. Le gare di regolarità prevedevano infatti
prove speciali di vario tipo, dalla prova di accelerazione alla prova
cronometrata su percorso e terreno misto fino alla prova speciale di motocross
su un tipico tracciato.
La prova regina della specialità, considerata la vera
Olimpiade motociclistica, era e resta la Six Days (ISDE – International Six
Days Enduro ), una vera e propria selezione dei migliori piloti e mezzi da
fuoristrada a due ruote al termine della quale viene assegnato il titolo di Campione
del Mondo Enduro a squadre Nazionali.
Questo è l’enduro ed in Italia, da chi come me ha vissuto i
gloriosi giorni del genuino fuoristrada motociclistico ai tempi in cui lo
spirito di chi lo praticava era rimasto quello delle origini, viene ancora
indicato come Regolarità.
Un ottimo filmato d’epoca racconta in modo piacevole la
realtà di questo affascinante sport motociclistico ai tempi in cui “Lo chiamavano regolarità”