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giovedì 16 maggio 2024

Che fare quando una filettatura cede e non consente più il corretto serraggio di un bullone?

 

Nonostante con le nostre amatissime motociclette siamo sempre molto attenti durante gli interventi di manutenzione, operando sempre come si suol dire con i guanti bianchi, non è così raro che ci si trovi a dover fare i conti con un bullone che manifesta una tenuta alla trazione non proprio ottimale, se non addirittura, nei casi più gravi, assolutamente insufficiente o nulla (filetto spanato).

Questo accade non di rado negli accoppiamenti tra bulloneria in acciaio e sedi filettate su supporti in alluminio e quasi sempre il danno non è conseguenza di una nostra azione errata ma causato dall’usura di tanti anni di utilizzo del mezzo, oppure dovuto a motivi legati proprio al tipo di accoppiamento tra i due materiali differenti con caratteristiche di resistenza altrettanto diverse.

E’ proprio ciò che è successo alla sede filettata dell’ancoraggio dell’asta di fermo sul piatto portaceppi del mozzo di una moto da trial a cui ho fatto manutenzione recentemente.

Smontando la ruota anteriore per sostituire lo pneumatico, intervenendo per allentare sul piatto portaceppi il bullone che mediante l’apposita staffa lo tiene solidale al fodero della forcella sinistra, ho subito avvertito che la forza che stavo esercitando sulla leva della chiave a bussola non era trascurabile. Il bullone ha iniziato comunque a svitarsi senza difficoltà ed una volta estratto non presentava alcun segno di danneggiamento come la sede filettata sul piatto del mozzo.

Nel momento in cui, rimontata la ruota nella sua sede tra i foderi della forcella, ho iniziato a stringere con la chiave lo stesso bullone ho capito che c’era qualcosa di anomalo. La filettatura sul mozzo non reggeva la trazione del bullone. Che cosa poteva essere accaduto, considerato che quel bullone non aveva mai subito un’eccessiva trazione perché presto sempre molta attenzione nel serraggio dei bulloni,  tanto che non ne ho mai spanato uno in vita mia?

 


 

La risposta è molto semplice: quel bullone in acciaio che non veniva svitato da quasi vent’anni si era “incollato” al filetto del mozzo in alluminio e nel fase di svitamento le spire di quest’ultimo, molto più delicate rispetto a quelle d’acciaio del bullone, si sono “consumate” rendendo la tolleranza di accoppiamento eccessiva.

A questo punto per recuperare la situazione le alternative erano tre: acquistare un piatto portaceppi nuovo, allargare il foro alla misura successiva rifilettando la sede oppure inserire un elicoide in acciaio.

La scelta non poteva che cadere sul ricorso all’elicoide per i seguenti motivi: l’elicoide consente di mantenere invariato il passo originale del madrevite, risulta molto più robusto rispetto alla filettatura ricavata nell’alluminio in quanto si tratta di un vero e proprio filetto in acciari riportato nell’alluminio ed infine, motivo non trascurabile, si tratta di una riparazione stabile, definitiva e molto economica che consente oltretutto di conservare il pezzo originale senza alterarne l’originalità, addirittura migliorandolo.

Ma cos’è e come funzione un elicoide?

L’elicoide è un è un filetto riportato ad innesto metallico che vene inserito mediante avvitamento in un foro filettato danneggiato, al fine di ripristinarne la funzione o con intento di prevenzione per rendere più resistente una madrevite in perfette condizioni. Si presenta alla vista come una molla il cui inserimento nella sede filettata avviene mediante l’impiego di un apposito attrezzo detto introduttore.  


 

Per innestare un elicoide nel filetto da riparare o migliorare è necessario praticare nella sede che dovrà accoglierlo un foro di diametro adeguato, quindi sarà necessario eseguire la filettatura con diametro e passo idonei (i dati relativi alla punta con cui eseguire il foro e al maschio da utilizzare per la filettatura vengono forniti dal venditore dell’elicoide).


 

Una volta realizzata la nuova filettatura ed imboccato l'inserto sul foro si inizia ad avvitare, con molta attenzione, servendosi di un attrezzo specifico fino alla competa introduzione assicurandosi che non sporga.

L’operazione si conclude con la rottura del cosiddetto “segmento trascinatore” servendosi di una pinza a becco lungo facendo particolare attenzione a non lasciare cascare il piccolo pezzo di spirale all’interno del foro. 


 

Il nuovo filetto risulterà identico a quello originale ma molto più resistente.