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venerdì 14 ottobre 2016

Le moto da fuoristrada italiane degli anni 70 e 80





L’Italia oltre ad essere il paese dell’arte, della cultura può vantarsi di avere una tradizione  motociclistica che tutto il mondo invidia.
Senza la pretesa di scrivere cose sensazionali, voglio riempire qualche pagina di questo diario in rete con una raccolta di notizie, dati, immagini, curiosità e altro ancora, riguardanti i marchi motociclistici italiani che hanno reso onore al fuoristrada nazionale nei gloriosi anni 70 e 80.
Innanzitutto mi sembra opportuno elencare i nomi delle tante case motociclistiche, comprese quelle artigianali e, con la consapevolezza che non risulterà completa, rivolgo l’invito generale a comunicare eventuali marchi non presenti.

Procedendo in ordine alfabetico riporto di seguito i seguenti marchi italiani e proseguo successivamente a raccogliere e ordinare tutte le notizie possibili su ciascun produttore sperando che voi che leggerete queste note vorrete collaborare a migliorarle inviandomi dettagli, notizie e immagini mancanti, elenco compreso:

Accossato - Aim – AMR - Aermacchi Haley-Davidson – Ancillotti – Aprilia – Aspes – Barbiero – Benelli – Betamotor – Bianchi – BM - Bombaci – Bompani - Cabrera - Cagiva – CCE - CF Meccanica - Cimatti –
CMC Cerbone - Cmk - Demm – Ducati – Esselle Moto - Eurocross - Europa - Fabrizio - Fantic Motor – Farinelli - Gabbiano - Gabor - Garelli – Gerosa – Gilera – Gitan – Gkd – Gori – Guareschi - Guazzoni – Hrd - Intramotor Gloria – Italjet – Kosmos - Kram-it – Laverda - Maer – Malaguti – Malanca – Mav – Mazzilli – MBM - Milani – Mi-Val – Mondial – Morini – Moto Bimm - Moto Guzzi – Motobi – Motom – Moto Meteora - Motorvieto - Motron – Negrini - Omer - Oscar - Panda - Peripoli –  PWS - RB - Rebuschi - Rivara - Rizzato – Romeo - Rondine Copeta - Simonini – Spisni - Swm – Tecnomoto - Testi Velomotor –Tgm – Titan - Tm – Torpado - Transama –  Valenti – Verona -Villa - Vitali


Accossato
Accossato, un nome che, a chi negli anni 70 aveva la passione per il cross, rievoca subito la grande A inserita in un esagono che marchiava i serbatoi delle accattivanti purosangue a due ruote.
La Accossato infatti affonda le sue radici nel 1969 anno in cui Giovanni Accossato creò questa azienda per produrre moto in provincia di Torino, a Moncalieri.

I modelli prodotti erano tanto belli esteticamente quanto estremamente moderni nelle soluzioni tecniche che ne facevano moto molto competitive nelle cilindrate 50, 80 e 125 cc, soprattutto per i piloti privati.

La Accossato ha prodotto i suoi motocicli fino alla metà degli anni 80 fregiandosi di ben tre titoli di Campione Europeo di regolarità negli anni 1983 e 1984  con il pilota Pierfranco Muraglia  e nel 1985 con un altro fuoriclasse Stefano Passeri.

Il marchio Accossato è ancora oggi ben presente sul mercato grazie alla capacità del suo fondatore ed attuale titolare di adeguare l’azienda e la produzione alle esigenze e alle situazioni di un settore difficile ed in continua evoluzione come quello motociclistico. La rinomata azienda piemontese produce oggi accessori e componenti di pregio che fornisce a case costruttrici italiane e straniere.

L’attività del Gruppo ACCOSSATO si divide tra il codesign per la realizzazione dei prodotti e della messa in produzione di particolari in serie con le più importanti case costruttrici nazionali ed internazionali, soprattutto per il settore moto ma anche da qualche anno per altri settori industriali quali ad esempio il design; e la progettazione e realizzazione della propria gamma prodotti con il marchio ACCOSSATO che viene distribuita in ambito nazionale con una rete di rappresentanti ed internazionale con distributori.
Il prodotto più rappresentativo è la pompa freno ACCOSSATO disponibile in oltre 200 modelli che con la pinza freno costituiscono l’impianto frenante ACCOSSATO già utilizzato in molte competizioni sportive.
 
Aim 
La sigla AIM significa Assemblaggio Italiano Motocicli e fu fondata da Andrea Becocci , dimissionario dalla Moto Bimm di cui era stato socio con il fratello, nel 1972 in Toscana, a Prato precisamente.  L’azienda trovò in seguito sistemazione nella  nuova sede di Vernio dove la produzione proseguì fino al 1987. I primi motoveicoli prodotti furono mono-marcia  per impieghi di utilità ma già nel 1973 la Aim diede alla luce il suo primo modello da cross.
Si trattava di un “cinquantino” equipaggiato con il motore Franco Morini Turbo Star testa radiale con cambio a 5 marce da cui la sigla “50 R 5” (sarebbe bello poter pubblicare una foto di questo modello rarissimo) che rappresenta ancora oggi il capostipite di tutte le Aim da cross.
Con il nuovo 50ino la Aim ebbe un buon successo di vendita e grazie a qualche semplice elaborazione il nuovo motorino venne adottato da diversi piloti privati che diedero il via alla rivalità agonistica con le cugine toscane Gosi e Ancillotti che fino a quel momento avevano dominato la scena sulle piste di cross.

Nel 1975 vide la luce il primo prototipo 50 da cross equipaggiato con il blasonato motore Sachs, Questo nuovo modello, allestito con la collaborazione di Fani, calcò subito i campi di cross preparandosi alla sua presentazione ufficiale che avvenne al Moto-Salone di Milano di quello stesso anno.
La storia della Aim era ormai avviata e non poteva che crescere giorno dopo giorno sfornando una produzione di moto da gara assemblate con cura, utilizzando la migliore componentistica disponibile  all’epoca. Nacquero così gli indimenticabili modelli disponili nelle diverse cilindrate da 50 a 250 cm³ che regalarono alla casa toscana innumerevoli vittorie  e riconoscimenti a livello nazionale fino alla all’inizio degli anni ottanta.

Purtroppo, come accadde per molti rinomati produttori italiani di moto, la Aim, nonostante i numerosi risultati agonistici, non riuscì a superare le difficoltà imposte da un mercato sempre più spietato interessato solo ai numeri e privo di attenzione per la passione e le capacità tecniche degli imprenditori e nel 1987 dovette accettare la fine della sua attività produttiva.


Aermacchi Harley Davidson

La Aermacchi conquistò la sua notorietà grazie alla produzione dei famosi aerei italiani e le sue prime realizzazioni di mezzi a ruote riguardano la costruzione di un motocarro dalle caratteristiche innovative che lo contraddistinguevano marcatamente da ogni altro mezzo analogo.
La storia di questo prestigioso marchio nazionale è assai lunga e ricca di particolari che per essere esposti necessiterebbero di ampi spazi descrittivi e dell’impegno di veri esperti del blasone.
In questo contesto mi limiterò con molta umiltà a scrivere che la Aermacchi iniziò la produzione di veicoli a due ruote riscuotendo subito il meritato apprezzamento con i modelli della serie “Ala”.
Agli inizi degli anni 60 nasce, da un accordo con il famoso costruttore americano, la Aermacchi Harley Davidson che produrrà numerosi motoveicoli in svariate cilindrate e configurazioni.
Ma per vedere il primo mezzo da fuoristrada si deve attendere la fine degli anni 60 quando Aermacchi Harley Davidson regala al mercato americano una moto da cross equipaggiata con motore a due tempi di 100 cc di cilindrata denominata Baja e destinata a gareggiare nell’infuocato deserto americano. Da questo momento nasceranno altre Aermacchi HD con le ruote artigliate che lasceranno un segno indelebile nel panorama del fuoristrada mondiale a due ruote. Dall’impronta di queste gloriose motociclette sul finire degli anni 70 ebbe origine il glorioso marchio tricolore Cagiva di cui ancora oggi ogni appassionato italiano di motocross conserva un indelebile quanto piacevole ricordo.



Ancillotti


Credo sarà difficile riuscire a rispettare un criterio di sintesi rendendo il giusto merito al nome che in un certo qual senso dai mitici anni 70 è per il popolo dei motocrossisti italiani sinonimo inconfondibile del loro sport preferito, perché Ancillotti è stata protagonista per oltre trent’anni del motocross sulle piste nazionali offrendo moto di alto livello soprattutto a piloti privati di motocross e regolarità che poterono distinguersi nei campionati regionali e in italiani e a tanti fuoriclasse che gareggiavano anche nei campionati mondiali di specialità rendendo famose queste moto italiane anche all’estero.

Il mito delle moto fiorentine nacque grazie a  Gualtiero Ancillotti che iniziò l’attività seguendo la strada aperta dal padre Ernesto all’inizio del ‘900. Le prime creazioni furono modifiche migliorative di motociclette già esistenti e la produzione di svariati accessori da impiegare per elaborare modelli di serie sia da strada, sia da fuoristrada.

Finalmente tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta videro la luce i primi modelli della leggendaria serie “Scarab” equipaggiati con motori Beta nelle cilindrate 50 e 100 cc.

L’evoluzione della specie proseguì fino al 1985 con modelli sempre più performanti e dotati sempre di particolari innovativi che anticipando la concorrenza rendevano le Ancillotti le avversarie da battere. Tra le soluzioni innovative realizzate da Ancillotti ricordiamo i sistemi di ammortizzazione del retrotreno denominati “PULL SHOCK” e “PRO DRIVE” datati rispettivamente 1980 e 1984.

La chiusura della rinomata fabbrica italiana avvenne nel 1985 in conseguenza dell’arrivo sul mercato della concorrenza nipponica di cui hanno fatto le spese molte altre case italiane ed europee non certo aiutate da un’adeguata politica economica che se fosse stata attuata avrebbe potuto salvaguardare un patrimonio tecnologico e manifatturiero che ancora oggi il mondo intero ci invidia e che avrebbe rappresentato per il nostro paese motivo di orgoglio e fonte di occupazione e benessere nazionale.



Aprilia

Aprilia nasce nell’immediato periodo post-bellico grazie al suo fondatore il Cavalier Alberto Beggio producendo biciclette e successivamente, negli anni ‘60 sull’onda del momento positivo che sta attraversando l’Italia in virtù del cosiddetto “boom economico,” con il figlio Ivano alla guida dell’azienda esordisce nel settore dei ciclomotori.

Da subito si delinea la strada che caratterizzerà il marchio per molto tempo, infatti 1970 Aprilia realizza un ciclomotore da cross nella cilindrata di 50 cc che diventa subito famoso con il nome di “Scarabeo” al quale fa quasi subito seguito un modello equipaggiato con motore da 125 cc.

In questa fase sarà fondamentale la collaborazione con Ivan Alborghetti, il fuoriclasse italiano originario della bergamasca reduce dalla vittoria del campionato italiano di cross del 1973 nella classe 250 cc in sella ad una Maico. I risultati infatti non tardano ad arrivare e già nel 1977 il binomio Aprilia - Alborghetti si aggiudica la vittoria nel campionato italiano di motocross nelle classi 125 e 250 cc ed uno strabiliante 6° posto assoluto nella classifica del campionato mondiale motocross classe 125 cc.

Il marchio italiano nato a Noale proseguì da quel momento la sua brillante carriera ricca di successi e soddisfazioni a partire dalla decisione di impegnarsi anche nel trial, un segmento che in Italia aveva visto Fantic Motor in veste di coraggioso pioniere e che rappresentava per i costruttori nazionali un settore inesplorato. L’Aprilia realizzò un modello equipaggiato con il motore Hiro Sammy Miller che ricordava molto la più famosa spagnola Bultaco.  Si trattava di una moto da trial non certo facile da guidare, dotata di un motore molto potente quanto poco pronto nei momenti difficili che non diede immediato lustro al suo costruttore ma si limitò a rappresentare la pietra miliare dell’avventura Aprilia in questa disciplina del fuoristrada.

In seguito, grazie all’accordo con l’austriaca Rotax per la fornitura di nuovi motori Aprilia inizierà la produzione di una nuova linea di moto da fuoristrada e non solo che godranno di un ottimo momento in termini di soddisfazioni legate sia ai risultati nelle competizioni sia al successo commerciale. Il resto, per noi appassionati di moto d’epoca, è storia recente che ha visto Aprilia distinguersi in molti settori anche inediti per il
marchio come la partecipazione ai Rally Africani e nel mondo del motociclismo su pista.



Aspes
 
L’azienda deve il suo nome all’abbreviazione del cognome della signora Aspesi, moglie del titolare Terodosio Sorrentino.

La Aspes dopo un primo periodo di rodaggio, nemmeno poi lungo, approdò al settore del fuoristrada con la realizzazione del modello Cross Special del 1968 che fu una diretta evoluzione di un primo precedente tentativo denominato Cross T.

L’evoluzione proseguì fino agli anni settanta quando nacque l’Aspes Apache 125, una moto equipaggiata con componentistica italiana di qualità come le forcelle Ceriani e dotato di un motore Maico da quasi 20 cavalli, inoltre con l’Apache la Aspes diede il via alla fortunata ed apprezzata serie di motociclette da fuoristrada identificate con i nomi di famose tribù dei nativi americani.

I modelli si susseguirono uno dopo l’altro con la produzione di Cheyenne, Fox, Hopi, Navaho, HF e anche di un modello trial 125 motorizzato Franco Morini.

La mitica casa gallaratese regge bene il confronto con la concorrenza fino ai primissimi anni ottanta quando dopo un periodo critico cede definitivamente le armi nel 1982.

Aspes rimane comunque nel cuore di tutti gli italiani che hanno trascorso la loro gioventù tra i mitici anni ’70 e ’80 e che riescono ancora a ricordare perfettamente l’inconfondibile suono di quelle indimenticabili moto italiani.



E' possibile trovare approfondimenti, immagini, dettagli e molto altro ancora sul forum degli appassionati delle mitiche Aspes raggiungibile con il link  http://aspesisti.forumfree.it/


Barbiero




Per chi a metà degli anni 70 aveva quattordici anni il solo nome Barbiero rappresentava un sogno troppo spesso irraggiungibile. Era la moto artigianale per eccellenza, un prodotto che si differenziava totalmente dalla concorrenza, con soluzioni così particolari ed innovative da fare invidia agli altri costruttori dell’epoca.
Per sapere come nacquero questi gioielli meccanici, che potremmo paragonare a prodotti di pregio dell’alta sartoria italiana nel campo della moda, dobbiamo viaggiare a ritroso nel tempo fino al 1959 anno in cui Mario Barbiero, titolare dell’omonima azienda siciliana operante nel settore delle due ruote, si trasferisce a Torino, vera capitale della meccanica motoristica negli anni del boom economico, dove acquisite nuove ulteriori competenze tecniche decide nei primi anni 70 di avviare una nuova attività dedicata alle moto da cross e da velocità.
Nella seconda metà di quegli stessi anni, grazie anche alla collaborazione del fratello Giuseppe in qualità di collaudatore, prosegue con lo sviluppo della produzione per il cross portando le mitiche moto Barbiero ad un livello estremamente competitivo, tanto da portare la fama del marchio italiano a livello europeo.
Il punto di forza delle moto Barbiero, oltre all’ottima preparazione dei propulsori (prevalentemente Sachs), risiedeva senza dubbio alcuno nell’innovativo sistema di sospensione posteriore costituita da un forcellone cantilever con sospensioni centrali infulcrate in asse con il trave centrale del telaio, capace di conferire alla moto una maneggevolezza e stabilità ineguagliati dalla tecnologia dell’epoca.
Il mito Barbiero resiste fino al 1981 quando la pressione della concorrenza nipponica associata al sempre crescente aumento dei costi gestionali, che già in quel periodo affliggeva tutte le aziende italiane, costringe gli illustri artigiani dell’eccellenza motocrossistica nostrana ad fermare la costruzione delle loro ambite motociclette.
Fortunatamente il notevole bagaglio di esperienza, conoscenza e capacità non è andato perduto e ancora oggi Barbiero resta un punto di riferimento importante per tutti gli appassionati delle due ruote che chiedono quel qualcosa in più.


Benelli

La storia della Benelli, con i 6 fratelli, figli della vedova Teresa Boni Benelli, che nel 1911 danno vita ad un’officina meccanica per la riparazione di motocicli all’interno di un vecchio fabbricato rurale, ricorda molto quella della Harley Davidson.

In quell’officina i fratelli Benelli, a causa del modesto numero di veicoli motorizzati esistenti all’epoca nel pesarese, eseguivano anche riparazioni e lavorazioni che nulla avevano a che vedere con le motociclette e pochi anni dopo furono anche costretti a fare i conti con lo scoppio del primo conflitto mondiale e con un forte terremoto ma seppero superare queste difficoltà.

Come nella storia del famoso marchio americano anche i fratelli Benelli si ritrovavano al termine dl turno lavorativo per progettare un motore con cui equipaggiare la prima moto interamente prodotta da loro stessi.

Il primo motore fu presentato nel 1920 alla prima edizione della Fiera Campionaria di Milano e in seguito a successive modifiche e miglioramenti l’anno successivo divenne il propulsore della prima Benelli che nel 1923 migliorata ulteriormente venne impiegata nelle competizioni regalando ai fratelli Benelli il primo titolo, infatti condotta da Antonio “Tonino” Benelli si laureò Campione d’Italia.

Molti altri risultati degni di menzione seguirono a quel primo successo e la casa di Pesaro crebbe costantemente diventando uno dei principali marchi del comparto motociclistico italiano finché, tra la fine degli anni 60 e l’inizio della decade successiva, sotto la pressione della sempre crescente concorrenza dei costruttori del sol levante la Benelli entra in una fase decrescente che condurrà i suoi fondatori a decidere la cessione dell’azienda ad un industriale argentino, De Tomaso.

In questa nuova fase aggiornò la produzione con il preciso intento di arginare la concorrenza nipponica e nel 1974 presentò la 500 Quattro sul modello della giapponese Honda CB 500 Four a cui fece seguito l’anno successivo la Benelli 750 Sei e altre creazioni negli anni a venire quali la Tornado Tre 900 nel 2002.

Le moto da fuoristrada, sebbene non abbiano mai occupato una posizione di rilievo nel contesto degli obiettivi aziendali, sono sempre stati presenti nel listino Benelli con modelli di piccola cilindrata (50 e 125 cm³) e solo nel 1986, in collaborazione con la TM, Benelli presenta un’avanzatissima 125

Nel corso del 2005 l’azienda attraversa un nuovo periodo di crisi finanziaria e viene rilevata dalla Qianjiang Group, un società cinese che decide comunque di mantenere l’attività produttiva a Pesaro e riavvia la  costruzione degli scooter e sceglie anche di aggiornare la Tornado con un propulsore da 1130  cm³.

In questo periodo molto proficuo sotto il profilo dell’innovazione produttiva la Benelli celebra a Pesaro nel 2011 il centesimo anniversario della fondazione e i festeggiamenti organizzati in grande stile si susseguono per un’intera settimana coinvolgendo sia i possessori delle moto Benelli sia gli estimatori e appassionati del famoso marchio italiano provenienti da ogni parte del mondo. La Benelli è oggi presente sul mescato con diversi modelli molto apprezzati.


Guarda le fantistiche Benelli cross degli anni '80 e '90


Beta

All’alba del ventesimo secolo, nel lontano 1905, quando il signor Giuseppe Bianchi, meccanico ciclista fiorentino, aprì per la prima volta i battenti della sua attività di riparazione di biciclette non immaginava certamente quali risultati avrebbe raggiunto con il suo lavoro e la sua passione.
Quella piccola bottega artigianale divenne ben presto la Società Giuseppe Bianchi ed iniziò la produzione di biciclette ma la sua crescita continua la vide affacciarsi agli anni 50 con un nuovo cambiamento quando Enzo Bianchi, figlio di Giuseppe Bianchi associandosi con il cognato Arrigo Tosi trasformo la piccola azienda in una piccola industria creando il marchio Beta (Bianchi Enzo – Tosi Arrigo).
Nel 1952 la Beta costruisce i motori all’interno dei suoi stabilimenti e fa uscire sul mercato il primo modello con motore Beta, la Vulcano 160, moto leggera che fa da apripista ad un modello realizzato per la famosa corsa dell’epoca Milano – Taranto, la  MT 175 e ad due noti modelli con propulsore a quattro tempi dai nomi leggendari, Titano 175 e Urano 125.
Nel 1966 l’ormai consolidata e rinomata casa fiorentina subisce gravi danni causati dall’alluvione che drammaticamente colpì il capoluogo Toscano i annima le difficoltà vengono superate e la Beta si prepara ad affrontare una nuova sfida che gli anni 70 stavano per lanciare ai costruttori di motociclette con l’avvento delle piccole cilindrate: era iniziata l’era dei “cinquantini”.
Con l’inizio della produzione dei ciclomotori la Beta si rivolge ad un nuovissimo segmento del mercato che in quegli anni, i mitici anni 70, esplode con la “febbre” del motocross. I modelli prodotti dalla beta per questa disciplina sportiva si dimostrano subito all’altezza delle esigenze di chi pratica il fuoristrada agonistico ma soprattutto sono anche esteticamente belle e vengono scelte anche dai giovani che seguendo la moda del momento le sfoggiano nel contesto urbano.
Quanti modelli sono stati prodotti dalla beta da quel momento: i piccoli tr4 – tr5 - tr6 e Mx6, tutti 50 cc che hanno regalato giornate spensierate a tanti quattordicenni degli anni ’70, i vari CR e GS nelle cilindrate 125 250  e 500 per l’epoca rigorosamente 2 tempi che solcando i campi di cross italiani hanno visto nascere tanti successi e tanti campioni, quali Ivano Bessone, Italo Forni, Paolo Piron, Corrado Maddii e tanti altri.
All’inizio degli anni 80 esplode letteralmente il trial e la Beta partecipa anche a questa sfida insieme ad altri costruttori italiani e mondiali. Non è facile sostenere la concorrenza di marchi che sono sinonimi di questa specialità del fuoristrada da tanti anni. Montesa, Ossa e Bultaco sembrano irraggiungibili ma la tenacia e la caparbietà, di chi ha un bagaglio di esperienza che affonda le sue radici in un passato tanto lontano, rendono possibile il miracolo e nel 1987 il pilota spagnolo Jordi Tarres alla guida di una beta consegna il titolo Mondialee si ripeterà ancora nel 1989, 1990 e 1991. Da quel momento il trial rappresenterà per la Beta l’arma segreta per combattere e sostenere la concorrenza delle case nipponiche che a partire dagli anni 90 hanno iniziato il loro strapotere nel mercato del motocross.
Oggi la Beta Motor SpA è una solida azienda italiana che ha saputo guardare anche al mercato estero collaborando anche con marchi del calibro di KTM e Suzuki.



Bianchi


La storia “motocrossistica” della Bianchi, una tra le più blasonate case motociclistiche italiane del dopoguerra, non è lunga ma ha comunque lasciato il segno nelle pagine del fuoristrada nazionale.
L’avventura polverosa delle aquile a motore nasce attorno al 1957 sull’entusiasmo di risultati soddisfacenti ottenuti da un rivenditore emiliano del marchio Bianchi con motociclette da lui stesso adattate e preparate per la nuova specialità agonistica.
Dopo i prototipi allestiti dal concessionario, equipaggiati sia con motori a 2 tempi sia a 4 tempi tutti con cilindrata di 175 cc, la Bianchi impiegò una versione completamente rinnovata della Tonale. Le prove si susseguirono senza soste, la cilindrata fu aumentata e gli sforzi furono premiati dalla conquista del campionato nella categoria 250cc.
Un nuovo reparto tecnico portò aria nuova ai motori Bianchi che conobbero innovazioni importanti portando alla produzione di un 350 cross che per la sua potenza che scaricava in accelerazione venne soprannominato “Raspaterra” e come tale scavava letteralmente profondi solchi sul terreno delle piste scagliando terra e sassi.
La moto dell’aquila ottenne altri importanti titoli vincendo nella 250 e conquistando la piazza d’onore nella mezzo litro.
La carriera fuoristradistica delle moto Bianchi si concluse nel 1961 con l’ultimo campionato che vide una Moto Bianchi solcare una pista in terra battuta cavalcata dal grande Emilio Ostorero.
  

BM Moto



La BM nasce nel 1952 Rastignano Pianoro (Bo)  per volontà di un appassionato e ingegnoso artigiano bolognese. Bonvicini Marino (Moto BM) inizia la sua attività costruendo motociclette dalla linea elegante, assai curate nei particolari. Per la produzione iniziale utilizzò motori di marche differenti ma in seguito decise di progettare e realizzare motori a marchio BM rendendo completo il ciclo produttivo.



Le prime fuoristrada arrivano negli anni 60 con il Jaguarino, nome ben noto agli appassionati di moto da fuoristrada d’epoca. Si trattava di un modello equipaggiato con motore Franco Morini V4 dotato di sistema di raffreddamento a ventilazione forzata, con aria generata da un volano dotato di alettatura, una soluzione tecnica adottata spesso sui sui propulsori adottati dai costruttori negli anni 60 per la realizzazione dei primi ciclomotori 50 cc da fuoristrada.

I primi modelli sfoggiavano particolari tecnici quali la doppia corona sulla ruota posteriore, con cui era possibile variare il rapporto di trasmissione senza dover ricorrere ad interventi meccanici complessi, infatti era sufficiente aprire la falsa maglia di giunzione della catena ed inserire lo spezzone adeguato, fornito dal costruttore, per allungarla ed utilizzare il rapporto “corto” (corona grande), oppure procedere inversamente per utilizzare il rapporto lungo (corona piccola). Questo sistema consentiva di sfruttare sempre al meglio il veicolo in qualsiasi condizione di utilizzo.

Il nome Jaguarino Cross accompagnò tutta la produzione delle svariate versioni da fuoristrada con cilindrata di 50 cc fino agli anni 80, quando purtroppo anche la BM cessò la produzione.
 

Bombaci
 

Il nostro percorso tra gli italiani che, con il loro lavoro, con grandi capacità, tenacia e molto spesso spirito pionieristico, hanno dato lustro al settore della meccanica nazionale, è appena iniziato e già alla lettera “B” troviamo il nome di un artigiano illustre su cui ci dobbiamo soffermare.

 

Si tratta di un piccolo costruttore emiliano che, pur non avendo aggredito il mercato con quei “numeri” che purtroppo oggi da soli decretano la vita o la morte di un’azienda, ha inciso nella roccia un pezzo indiscutibile, ancora oggi più attuale che mai, del motocross italiano nelle categorie 50 cc e 80 cc.

 

Il nome è Claudio Bombaci e la sua storia di fatto rappresenta la graduale trasformazione della passione  per il fuoristrada di un adolescente che negli anni 70 ha un sogno, ma non dispone di adeguate risorse per realizzarlo e con sacrificio si avventura in un’attività artigianale, realizzata volutamente a costi contenuti.


L’attività costruttiva della Bombaci inizia “ufficialmente” nel 1978, quando al giovane pilota esordiente Alberto Gatti amico del costruttore, viene affidata una motocicletta realizzata in unico esemplare (in questi casi si parla di “special”) che portandola in pista compie l’importante passo del “battesimo del fuoco”. E’ il salto della rete, per il protagonista del nostro racconto: da appassionato a partecipante.


Il momento tanto atteso non deve rimanere isolato e per dare continuità all’avventura il giovane Bombaci deve cercare altri amici desiderosi di condividere fatiche e speranze; non più una sola special, ma una serie di 10 culle piegate (la culla è, tecnicamente, la parte più bassa del telaio di una moto sulla quale è alloggiato il motore), pronte per essere impiegate nella preparazione di un telaio diverso a seconda delle esigenze.

 

In quel contesto, per il giovane imprenditore meccanico, fu inevitabile il pellegrinaggio presso i fornitori quegli aiuti,  oggi impensabili, che all’epoca non mancarono, così come la disponibilità di laboratori e attrezzerie per la realizzazione di stampi e componenti specifiche essenziali, plastiche, serbatoi, selle e tutto quanto era necessario per realizzare il progetto.


In questa fase iniziale, più che di moto prodotte e vendute, si poté parlare di “kit di montaggio” che consentirono a diversi amici e al contempo clienti di assemblare la loro Bombaci 50 “su misura” con cui ritrovarsi tutti insieme nel tempio del motocross dei “cinquantini” di Molinella nell’hinterland bolognese.


Superato il periodo di prova arrivò il primo Motor Show, l’appuntamento clou del motorismo italiano di quegli anni, che aprì nuovi orizzonti e infuse nuove speranze per il neonato marchio motociclistico.
Nonostante la grande volontà e le sue inconfutabili capacità tecniche, Claudio Bombaci dovette proseguire, anno dopo anno, con lo stesso metodo, ovvero ricoprire, con non poche difficoltà, contemporaneamente ruoli diversi quali titolare, dipendente, operaio in prestito ai fornitori, ma ciò nonostante continuò ad inseguire il suo sogno.

 

Bombaci non solo sapeva progettare ed inventare soluzioni nuove che distinguevano in modo particolare le sue moto sia sotto il profilo tecnico sia estetico e, sempre attento, seppe cogliere dalla concorrenza preziosi insegnamenti, che mise in pratica migliorando continuamente l’efficacia e l’aspetto dei suoi modelli.

Purtroppo, non esistendo le condizioni per poter contare su un reparto corse di un certo livello, in quel contesto non si poté parlare di risultati agonistici rilevanti anche se qualche buon risultato arrivò ugualmente grazie al compianto pilota cadetto Valerio Gherardi. Si tratto però di successi a “corrente alternata”, a causa delle ridotto disponibilità finanziarie per le “prime guide”.


Finalmente il biennio 81 e 82 vide la realizzazione di un mezzo molto equilibrato, piacevole alla vista e sufficientemente funzionale in pista, e Valerio Gherardi si distinse sia nel campionato regionale sia in quello italiano.

Ottime soddisfazioni arrivarono anche grazie all’impegno dei conduttori salsesi Biasetti e Ferrari, e dell’abruzzese Mastrilli.

Si trattò di un vero momento assai positivo e di massima diffusione del marchio: l’80% delle moto schierate dietro ai cancelletti di partenza emiliani erano Bombaci, anche grazie ad alcune collaborazioni che il giovane costruttore realizzò con amici-concessionari come Peschiera di Salso e l’abruzzese Pardi, che accettarono di “spingere” il marchio.


L’onda positiva fu però breve, perché la presentazione del nuovo modello ’83 rivelò un eccesso  innovativo che non fu compreso dal mercato di riferimento che, pur essendo di nicchia non fu all’altezza del momento, costringendo Bombaci a ripiegare in pratica sulla vendita diretta, interrompendo il sogno della stagione precedente di compiere il salto di qualità accontentandosi della gestione di una squadra corse allargata.


Nell’arco di un paio di anni di notevoli sacrifici la situazione si rivelò paradossale, perché il modello 83 insieme ai successivi 84 e 85 risultò una delle migliori ciclistiche dell’intero periodo.

Con le nuove moto condotte in pista dai fratelli Ravaglia, due ottimi piloti cresciuti nel “vivaio” Bombaci, i risultati arrivarono sia a livello regionale sia nazionale.

 

Ma ormai era tardi, le vendite di “ottantini” (la categoria 50cc venne sostituita dalle nuova cilindra 80cc)  da cross in Italia si ridussero di  quasi  dieci volte  rispetto al 1978,  e  senza la  possibilità  di dedicare  consistenti   nuovi  investimenti  per  allestire  anche  la  produzione  di  nuovi  modelli  in versione regolarità, che nel frattempo aveva cambiato nome nell’esotico enduro, divenne mpossibile programmare il futuro dell’azienda.

Fu in quel contesto che Claudio Bombaci tornò l’appassionato iniziale, e si limitò a seguire per alcuni anni le moto usate da lui vendute e a realizzare alcune versioni ulteriormente migliorate  dell’ultimo modello prodotto, l’85.


Purtroppo, pochi anni più tardi, nell’88 il marchio sparì definitivamente dalla scena: non si segnalarono più partecipazioni di moto Bombaci nelle competizioni regionali o nazionali.


Il tecnico bolognese in quei 10 anni costruì poco più di 50 moto, 1 esemplare nel 78, 10 esemplari nel biennio 79-80, 25 esemplari nel biennio 81-82, 15 esemplari nel triennio 83-84-85, a cui vanno aggiunti alcuni prototipi 50-80, e due 125 uno motorizzato Beta e uno motorizzato TM.
Forse la dote migliore del nostro tecnico fu la perseveranza, la volontà di realizzare un sogno e viverlo finché fu  possibile, prima che le condizioni proibitive del mercato imponessero scelte differenti; per cui come ci ha detto Claudio Bombaci in persona, con la tipica simpatia emiliana “nessun rimpianto, abbiam fatto quello che potevamo, ma ci siamo stati anche noi”...questo è stato lo slogan sposato fin dall’inizio.

In seguito Bombaci si è dedicato per alcuni anni alle sospensioni, dopo averle realizzate per i propri modelli; si è anche specializzato in consulenze  su sospensioni e articolazioni progressive, sia come artigiano che in seguito come dipendente di aziende di progettazione.
Ora, alla conquistata età di  63  primavere,  inevitabilmente,  è  tornato  a  lustrare  qualche  vecchio Bombaci per riportarlo allo splendore originale, cercando  anche di  ritrovare  attraverso  il  suo  sito www.bombaci.eu   il maggior numero possibile di attuali possessori  dei  200 modelli  prodotti negli anni d’oro del marchio e magari riunirli virtualmente in una sorta di registro storico.

 

Va sottolineato che, nonostante siano trascorsi 40 anni dal giorno in cui videro la luce, ancora oggi alcune Bombaci gareggiano sulle piste del campionato nazionale d’epoca ottenendo ottimi risultati come un tempo: i piloti Ruben Zappoli  in sella ad una Bombaci 50cc e Mattia Masi su Bombaci 80 cc si sono piazzati al primo posto nelle rispettive categorie del campionato italiano d’epoca.

 

Ora il tecnico bolognese, come capita ad un certo punto della vita alla maggior pare degli “adulti maturi”, torna un po' bambino e prova a realizzare qualche special 50, in modo rigorosamente non commerciale, tanto per non perdere il vizio...mezzi costruiti sempre a costi contenuti, poco in linea con l’attuale industrializzazione dei prodotti circolanti ma sempre idonei alla disciplina sposata, il motocross.

In conclusione possiamo affermare che quella della Bombaci è una storia fatta di passione per il motocross, di grandi sacrifici per contrastare la concorrenza dei grandi costruttori, soprattutto nipponici, che nella logica dei grandi numeri hanno travolto nel recente passato le nostre piccole grandi eccellenze, ma non potranno mai soffocare la smisurata passione, per il motocross e per le piccole cilindrate come nel caso del nostro impareggiabile Claudio Bombaci.

 

Una nota importante e patriottica: le moto Bombaci nelle cilindrate 50 e 80 cc sono sempre state equipaggiate con i fantastici italianissimi e insuperabili Motori Minarelli.


Bompani


Negli anni settanta i campi di gara non erano certo quelli che possiamo vedere oggi, dove l’ultimo dei dilettanti allo sbaraglio si presenta nel paddock dotato di camper fornito di ogni comfort, moto fiammante, attrezzatura per assistenza meccanica professionale e tenuta da gara impeccabile. Nei campi di cross di quegli anni lo stile era quello dei pionieri di uno sport abbastanza nuovo che giungeva dagli States conservandone lo spirito avventuriero. I piloti raggiungevano i luoghi di gara con ogni mezzo lo consentisse, dal motocarro alla piccola fiat 500 con moto caricata sul portapacchi fissato sul tetto. Le moto dei piloti privati erano spesso vecchie di qualche anno e in qualche caso frutto di modifiche e innesti artigianali di pezzi di marche differenti. Sulle piste non era raro vedere moto inedite e sconosciute, che magari negli anni successivi sarebbero divenute famose, ma questo non fu il caso della Bompani, che fu fotografata sulle piste nel 1977 e 1978, alla quale la rivista specializzata Motocross dedicò un breve articolo corredato di immagini che purtroppo non siamo riusciti a ritrovare. Purtroppo della Bompani abbiamo provato ad eseguire delle ricerche per trovare qualche notizia utile a ricostruirne la storia, ma abbiamo trovato sulla rete un brevissimo riferimento che la vorrebbe tra le moto da cross utilizzate dal pilota Boano, ricordato da tutti in sella alla Beta.

Sarà nostra cura e premura aggiornare la sezione in caso di reperimento di dati certi. Chi avesse notizie, immagini, dati tecnici o altre indicazioni utili ad aggiornare l'archivio può inviarle a fpiombo62@gmail.com



Cabrera


Come per la Bompani anche per il marchio Cabrera non è stato facile reperire notizie e siamo riusciti solo in parte nel nostro intento. Abbiamo infatti scoperto che questo costruttore italiano di moto aveva la sede del suo stabilimento di produzione nelle Marche nel Comune di Acqualagna in via XXIII agosto nell’attuale provincia di Pesaro e Urbino. Per quanto abbiamo potuto apprendere sembra che la Cabrera abbia prodotto alcuni modelli da cross l’ R.C. 125 e il C.R.C. 125 da regolarità. Le moto con caratteristiche all’avanguardia per quegli anni erano belle esteticamente ed equipaggiate con i nuovissimi ed italianissimi motori TAU e vantava alcune soluzioni tecniche brevettate. Non abbiamo altre notizie al momento ma ci impegniamo ad implementare quelle pubblicate qualora venissimo a conoscenza di ulteriori dettagli.

Sarà nostra cura e premura aggiornare la sezione in caso di reperimento di dati certi.
Chi avesse notizie, immagini, dati tecnici o altre indicazioni utili ad aggiornare l'archivio può inviarle a fpiombo62@gmail.com



Cagiva


CAGIVA è l’acronimo di Castiglioni Giovanni Varese e per tutti gli appassionati di motociclismo italiani e non solo è qualcosa di più di un semplice marchio, è una parte di quel patrimonio di eccellenze nazionali che vanno difese e ricordate nel tempo. La storia della Cagiva affonda le sue radici proprio all’inizio degli anni 50 nella città di Varese. L’azienda lombarda dopo un periodo durato quasi trent’anni improntato alla produzione di piccole componenti in metallo si affaccia nel vero e proprio mondo del motociclismo agonistico sul finire degli anni 70. Nel 1978 i titolari della Cagiva acquisiscono la AMF Harley Davidson ed avviano la scuderia per le gare di velocità dove schierarono due ottimi piloti italiani, Bonera e Lucchinelli.

Le prime motociclette prodotte nei primi due anni di attività escono dagli stabilimenti marchiate HD-Cagiva ed incontrano subito il consenso del mercato dei giovani dei primi anni 80. Si trattava per la maggior parte di modelli custom comodi e facili da guidare, con brillanti motori 2 tempi dalle prestazioni di tutto rispetto.

Ma per quanto riguarda la Cagiva a ruote tassellate la storia inizia nel 1979 quando la casa lombarda decide di partecipare al Campionato Mondiale di Motocross lanciando il guanto di sfida ai costruttori nipponici che sono incontrastati dominatori della specialità. La giovane moto italiana si dimostra subito all’altezza della situazione e rivela grandi doti tecniche che si possono riassumere in un ottimo telaio molto compatto e dalla maneggevolezza estrema, equipaggiato con un motore che sprizza potenza allo stato pure. Infatti, grazie alle competenze e all’impegno dei costruttori varesini, i risultati non si fanno attendere e già nel campionato 1984 il portacolori della Cagiva, Corrado Maddii si aggiudica il secondo posto nella classifica della classe 125 cc.

Negli anni che seguono le soddisfazioni sono tante e nel 1985 arriva anche la conquista del primo titolo mondiale piloti, con il fuoriclasse Pekka Vekkonen , contestualmente al titolo mondiale Costruttori, e nel 1986 Cagiva ottiene la replica per entrambi i titoli con il pilota Dave Strijbos, infine nel 1987 il costruttore italiano si aggiudica nuovamente il titolo mondiale costruttori. Il 1987 e il 1988 la Cagiva ottiene i suoi primi risultati anche nella quarto di litro sempre con il pilota Pekka Vehkonen, che riesce ad occupare il secondo gradino del podio alla guida di una strabiliante Cagiva WMX 250.

Nel palmares della casa di Schiranna vanno ricordati anche i successi alla Pargi – Dakar.

La casa varesina non ha prodotto solo moto da fuoristrada per il motocross, ma anche mezzi specifici per la pratica della regolarità, l’attuale enduro, compiendo pure un tentativo modesto di entrare nel settore del trial, che proprio negli anni 80 viveva il suo momento clou.

La Cagiva non ha una tradizione produttiva di ciclomotori 50 e 80cc da fuoristrada, come la maggioranza delle altre case costruttrici italiane, e forse questo l’ha tenuta un poco lontana dal cuore dei giovanissimi degli anni 70, ma resta comunque un grande orgoglio nazionale.

Non si possono non elencare le azioni strategiche in campo industriale del marchio lombardo che nel 1985 rileva la maggioranza della Ducati e nasce il Gruppo Cagiva – Ducati, nel 1986 dopo aver fatto entrare nel gruppo l’azienda Svedese Husqvarna e nel 1987 acquista anche la Moto Morini.

Nel 1999 Cagiva entra a far parte del Gruppo MV Agusta Motor S.p.A. che successivamente viene acquisito da Harley – Davidson che nel 2010 rivende tutto al fondatore della Cagiva, Claudio Castiglioni.

Claudio Castiglioni muore a causa di malattia il 17 agosto 2011  e la guida del Marchio passa nelle mani del figlio Giovanni, che l’anno successivo decide di far uscire i modelli a marchio Cagiva dal catalogo, facendo convergere la produzione e la progettazione sul marchio "premium" MV Agusta.

Nel 2019 Giovanni Castiglioni cede al gruppo russo Black Ocean la MV Agusta Motor S.p.A., ma il marchio Cagiva, seppur quiescente come un grande vulcano, resta italiano.